di Anna Zanga
Vedere la Morte
L’uomo ha sempre accompagnato la sepoltura con Pietas. Nelle tombe del neolitico troviamo deposti vicino al defunto: un sasso, una conchiglia, un arnese, un fiore, piccoli oggetti che accompagnano nell’aldilà. Sono passati millenni, secoli, ma i riti sono rimasti, seppure profondamente modificati. Le esequie, siano esse laiche o religiose, sono un momento importante in cui ognuno di noi saluta una persona cara.
Nell’Arte troviamo un’immagine di grande impatto emotivo che descrive il momento precedente la sepoltura. E’ il Cristo morto di Andrea Mantegna (1431/1506). Una tela (cm 66×81) dipinta nel 1500 circa e oggi conservata alla Pinacoteca di Brera di Milano. L’uso del colore, una tempera magra, rende evidente la sofferenza e la desolazione.
Sulla pietra dell’unzione, una lastra di marmo rossastro, è stato adagiato il corpo martoriato di Cristo. Il pittore con una geniale costruzione prospettica ci mostra il suo corpo inanimato e mette in evidenza i segni lasciati dai chiodi nelle mani e nei piedi. Dipinge una scena che fa pensare alla cura e alla delicatezza di chi lo ha lavato e profumato con il balsamo contenuto nel vasetto che si intravede in alto a destra.
Poi mani leggere lo hanno ricoperto con un telo di lino, il sudario. Sulla sinistra si intravedono i volti addolorati di una delle Marie, della Madre e di Giovanni. I volti sono contorti nel dolore, dolore silente, non un grido, non un lamento ma un sentimento profondo che assale e fa mancare il respiro.
È il dolore che molti di noi hanno attraversato in questi mesi di pandemia. Non abbiamo potuto avvolgere i corpi dei nostri cari che ci hanno lasciato. È mancato il momento del saluto, quello tutto personale in cui ognuno e in modo diverso si stacca dalla persona amata, da un padre, da una madre, da un fratello, da una sorella, da un amico. Abbiamo sentito la morte nelle sirene, nei racconti, nelle immagini ma ci sono mancati i corpi da vegliare, da salutare, da accarezzare. Quali immagini e come l’Arte racconterà questa epidemia? Lo vedremo in futuro, ora possiamo solo guardare al passato.
Tra le pagine di Nembro e la sua storia di AA.VV. edito dall’Amministrazione Comunale di Nembro, 1985, si descrivono epidemie che hanno decimato nei secoli scorsi gli abitanti. Più volte carestie e pestilenze hanno lasciato tracce tra i documenti. Gli anni tra il 1627 e il 1630 furono molto travagliati. Catastrofi naturali, nubifragi e tempeste, causarono magri raccolti e contribuirono ad una grave carestia che portò miseria. In questo quadro, già compromesso, si inserisce l’espandersi dell’epidemia di manzoniana memoria. Fu una tragedia immane, circa mille persone persero la vita e considerato che la popolazione era di 2700 anime, ne comprendiamo l’effetto devastante. Il paese era stremato e non è difficile capire in quale situazione si trovassero i superstiti. Si estinsero intere famiglie ed anche il clero scomparve completamente. Possiamo solo immaginare lo sgomento e l’angoscia che attraversava il paese.
Le forme del culto pubblico
Non abbiamo edifici o dipinti che ci ricordino quegli anni. Sappiamo che una cappella dedicata ai morti per la peste era stata eretta lungo la stradina che dalla chiesa di S. Maria, attraversando i campi coltivati, arrivava al ponte sul fiume Serio. Lungo questo percorso, in un campo a Cantegnate, furono sepolte le vittime della pestilenza. Questa località ha perso la sua denominazione ed è stata trasformata nei secoli. I campi non ci sono più, ora tutto è diverso, la cappella distrutta per allargare il tratto di via Marconi che scende verso la Stazione Teb. Del luogo non sono rimasti nemmeno i ruderi e l’immagine che era posta sull’altare è ora inserita in una piccola santella che troviamo alla fine del muro di cinta del cimitero. L’affresco raffigura una Madonna del latte o Madonna della Misericordia. Non sappiamo se è l’originale.
Nella memoria degli anziani veniva chiamata Madona del baglì. Qui venivano le madri in attesa ad invocare la protezione di Maria affinché il parto si svolgesse senza difficoltà. Le puerpere per chiedere di poter allattare, senza il latte materno le possibilità di sopravvivenza dei neonati si riducevano notevolmente.
Ad ogni modo la Madonna del Latte era molto raffigurata. Il Concilio di Trento (1545/1563) sancirà questa immagine sconveniente e non verrà più dipinta, anche se nel privato e in luoghi reconditi rimase. È una raffigurazione dedicata alla vita che nasce e forse questa fu inserita nel 1740 quando con solenni cerimonie, istituite per l’occasione, il Triduo dei Morti, le ossa furono riesumate e traslate in una tomba allestita nella chiesa di San Martino. Successivamente vennero deposte nella cripta dello scurolo della nuova Plebana che si iniziò a costruire nella seconda metà del Settecento.
Tra le cappelle erette lungo il vecchio sentiero che porta al Santuario dello Zuccarello, luogo di preghiera tanto caro ai nembresi, la seconda fu dedicata ai morti dell’epidemia del Seicento. Ha dimensioni più piccole di tutte le altre ed è stata restaurata più volte. L’affresco che la decora mostra le anime purganti che invocano la Madonna. In alto vi sono i simboli della Morte: un teschio, una falce e una clessidra.
La chiesa Arcipresbiterale Plebana di San Martino Vescovo, nell’ala destra prima del presbiterio, conserva l’altare della Madonna del Carmine o Suffragio dei morti e nel paliotto dell’altare è collocato un bassorilievo in marmo con l’immagine della Morte adagiata in un sepolcro e ricoperta da un mantello dove è iscritto Huc venies (Tu verrai qui), IOB –/dal libro di Giobbe C.18/capitolo 18 (versetto 11)
Sull’altare vi è una tela Madonna del Carmine o del suffragio attribuita al pittore nembrese Giovanni Carobbio. Vi sono raffigurati le anime purganti, alcune sollevate dagli angeli mentre in alto la Madonna rivolge il suo sguardo consolatorio a quanti la stanno invocando mentre lascia cadere lo scapolare verso un vescovo (Simone Stock?). Immagini che in passato ed ancora oggi accompagnano le preghiere dei fedeli. Di fronte abbiamo la tela del Crocifisso e i Santi Francesco e Bernardino, in basso è effigiato il donatore, Gerolamo Zilioli, dipinta nel 1615 da Enea Salmeggia detto il Talpino (Salmezza, 1565ca/Bergamo 1626). Questi due altari simbolicamente accolgono i feretri durante la funzione funebre. Da una parte il corpo di Cristo sulla croce attraversato da una luce fredda e di fronte la tela dove Maria si dispone ad accogliere le nostre preghiere. Sono immagini che raffigurano la morte e la speranza di una vita Oltre.
Nella sagrestia vi sono due quadri che possiamo collegare alle Danze macabre. Uno raffigura uno scheletro rivestito con abiti sacerdotali, l’altro con abiti da confratello. Venivano esposti in occasione degli Uffici funebri.
Nella Chiesa di S. Maria Assunta in Borgo, sulla parete a sinistra, è dipinto un polittico attribuito alla bottega dei Marinoni (sec. XVI), dedicato a Sant’Antonio abate. In basso a destra è rappresentato San Paolo eremita che secondo la leggenda sacra fu visitato da Sant’ Antonio più volte. Nell’ultima, il Santo, trova San Paolo morto in piedi come pregasse. Questa è un’immagine dove la morte non ha nulla di violento, il volto è sereno e assorto. Sulla stessa parete un San Sebastiano con il corpo trafitto da numerose frecce. Qui la morte non è ancora sopraggiunta, non viene raffigurata, è in realtà sottintesa.
Le forme della devozione privata
La devozione nel privato era delegata agli altaroli, preziose immagini dipinte riservate alla preghiera nell’intimità della casa. Questi furono sostituiti nel tempo da piccole mensole poste in un angolo delle cucine dove vicino alle immagini sacre trovavano posto le fotografie dei cari defunti. Non va dimenticato il Crocifisso simbolo religioso che esplicita la morte di Cristo, si trovava in ogni casa e non solo, eraposto lungo i sentieri e spesso agli angoli delle strade. Tutto questo è in parte un ricordo lontano. Rimane per tutti il bisogno di elaborare il lutto, alcuni nel silenzio profondo dell’animo altri esternandolo con cerimonie, scritti o immagini.
Un pensiero va rivolto anche al Monumento ai Caduti dove si celebra il ricordo di quanti hanno perso la vita nelle guerre. È posto attualmente in Piazza Italia davanti alla Biblioteca ad indicare forse che attraverso il Sapere e la Cultura l’uomo sappia non ripetere la follia delle guerre del Novecento.